venerdì 25 febbraio 2011

Primo approccio con la Materia

Una mappa mentale sulla Materia


Un racconto: Il viaggio di Piumetta

Piumetta era un astricciolo.

Gli astriccioli vivevano sulla Rupe delle Regine che si ergeva maestosa, ripida e brulla dietro la pineta, a margine del Bosco dei Mille Suoni. Erano graziosi uccelli con piume candide d’inverno e con innumerevoli sfumature brune d’estate.
Da tempi lontanissimi, a memoria d’uccello, nessun astricciolo aveva mai lasciato quelle guglie nodose ed acuminate, dorate ai raggi del sole ma grigie e fredde dopo il crepuscolo. Nelle tante, piccole crepe della roccia essi costruivano nidi confortevoli, caldi e sicuri.
Piumetta amava passare qualche ora del giorno, dopo mezzodì, sulla Punta del Belvedere in compagnia del suo amico Mirko. Da lì dominava con lo sguardo un vastissimo paesaggio, godeva il declinarsi dei mille colori dei boschi che scendevano giù, giù arrestandosi ai bordi del Laghetto della Tranquillità, con le sue acque immobili ed i suoi riflessi perennemente verde scuro.
Ma soprattutto Piumetta, amava sostare in quel luogo, perché da lì intravedeva le Montagne dell’Ultima Sosta, cosiddette perché le altre specie d’uccelli vi facevano l’ultima sosta prima del lungo viaggio sul mare, verso le terre calde ed esotiche in cui trascorrere l’inverno.
Il mare! Quanti racconti aveva udito nella Piazzetta del Bosco dei Mille Suoni. Provava ad immaginarlo immenso, coi suoi molteplici riflessi azzurri e verdi e argentei, il suo eterno dondolare di culla, il fragore ritmico delle sue onde inghiottite dalla risacca, il suo sapore diverso da tutti i semi e le bacche del bosco; e le sue piume si rizzavano in un brivido inspiegabile che al tempo stesso l’esaltava e le procurava sgomento. Quanto avrebbe voluto vedere il mare …. magari pure da lontano, dalle Montagne dell’Ultima Sosta.
“Come puoi provare tanta nostalgia per ciò che non conosci?”, le chiedevano tutti. Essa non rispondeva ma sentiva confusamente di conoscerlo il mare, di averlo già dentro da qualche parte, forse da sempre.

Una mattina di primavera Mirko ruppe il consueto silenzio di quelle altitudini e le disse:
“Piumetta io parto, vieni con me. Sento che è tempo di vedere il mare.”
“Ma cosa dici?!” essa rispose con un fremito. “Nessun astricciolo può compiere un viaggio tanto lungo e faticoso”.
“Non può farlo se il suo desiderio non è abbastanza grande. Ma se lo è, nessun ostacolo può fermarlo”. Pronunciò queste parole con indicibile calma, poi si voltò, la guardò dritto negli occhi e continuò: “Com’è il tuo desiderio Piumetta?”.
Piumetta avvertì una strana determinazione nelle parole del suo amico. Si sentì a disagio, presa alla sprovvista; quel varco, quella occasione vagheggiata ma inattesa la turbavano. Dopo lunga esitazione rispose: " Ti darò una risposta domani". E Mirko, salutatala con breve cenno dell’ala, volò via.
Rimasta sola un’angoscia sottile si insinuò nel suo animo. Pensò ai suoi piccoli nel nido con le ancora poche, delicate piume e ai suoi genitori ormai vecchi che vivevano due guglie più in là. Il padre Pennabruna che non riusciva quasi più a muovere le ali tanto forte era il dolore ad ogni minimo movimento; la madre Occhiallegri che, per una strana ironia della sorte, aveva gli occhi più tristi che si possano immaginare e viveva in una sorta di torpore lento e silenzioso. Tre fotogrammi, tre lampi … seppe così, con certezza, che non poteva partire …. o forse non sapeva farlo e deglutì per ricacciare indietro il nodo che le andava stringendo man mano la gola.

Spuntò il nuovo giorno. Durante la notte Piumetta aveva pensato a come dire a Mirko che non sarebbe partita, che chissà, magari il futuro avrebbe potuto riservarle una nuova occasione. Proprio nel momento in cui lo vide staccarsi dal boschetto, fare due giocose virate e dirigersi verso di lei si ricordò, però, di Gioele.
Gioele era un vecchio barbagianni molto saggio, una vera Autorità per tutti gli animali del Bosco dei Mille Suoni che, alla sera, si radunavano in Piazzetta per ascoltare i suoi racconti o per chiedergli consiglio. Qualcuno diceva che avesse cent’anni, altri cinquanta, di sicuro viveva in quel posto da tempo lunghissimo. Aveva molte, straordinarie virtù che da sole sarebbero bastate per amarlo ma tra tutte aveva sviluppato una capacità singolare di entrare in risonanza con gli altri. Il suo cuore aperto, senza confini, la sua lunga esperienza di vita lo avevano reso incredibilmente acuto. Si spingeva oltre le parole, oltre le apparenze; il suo sguardo penetrante e dolce soleva decifrare con chiarezza gli innumerevoli ed impercettibili segni dei silenzi. Gioele, dunque, una sera d’Agosto aveva detto: “La paura, amici, è energia salvifica; non lasciate che vi blocchi ma solo che guidi il vostro coraggio verso le mete della vita, evitandogli pericolose derive”. Ecco... ecco cos'è il coraggio, pensò, un agire guardingo, a fronte dell'inazione e della temerarietà. 
Non è dato sapere perché Piumetta ricordasse le parole di Gioele proprio in quel momento. Certo è che quando Mirko si posò sullo sperone, ad un passo dal suo nido, essa gli disse: “Verrò con te”.

Per tutta la settimana precedente la partenza Piumetta lavorò instancabilmente raccogliendo germogli, more, bacche e semi. La fiaccola accesa nel suo cuore ristorava anche il suo corpo e non avvertiva alcuna fatica. Alla sera del quinto giorno però, le sembrò che le scorte di cibo accumulate non fossero sufficienti a soddisfare le necessità della sua famiglia per tutta la durata della sua assenza. Si incupì e non ebbe voglia di recarsi, come al solito, al raduno nella Piazzetta del Bosco. A Gioele non sfuggì. A lui pareva che gli assenti tumultuassero nell’aria più dei presenti. L’indomani mattina, di buon’ora si recò da Piumetta. In disparte chiedette ed ascoltò. Indi si appollaiò ad occhi chiusi e l’astricciolo lo imitò. Trascorso qualche minuto, Gioele disse: “Compi pure il tuo viaggio piccola; gli animali del Bosco penseranno al cibo mentre i falchi della Rupe dei Re proteggeranno il tuo nido e quello dei tuoi vecchi. Dio ti benedica!” Piumetta che alla parola –falchi- aveva provato un sussulto stava per opporre un diniego ma il barbagianni la precedette e le ingiunse con amorevole autorevolezza: “Abbi fiducia”.

Il breve colloquio cambiò radicalmente per l’astricciolo il volgersi della mattinata. Improvvisamente si accorse della splendida giornata; con alacrità si accinse a fare i preparativi per la partenza ed in breve tutto fu pronto. Poté concedersi un po’ di gioco. Si librò nell’aria, sopravvento si lasciò trasportare in alto, poi giù in picchiata, virò, si avvitò, planò, disegnò mille forme nell’aria. Ripeté tante volte i suoi giochi finché si sentì esausta e tornò al nido. Qui l’attendeva ancora un compito importante.

Con entusiasmo e cautela Piumetta informò i piccoli dell’imminente partenza; ingenuamente credeva che avrebbero capito. Ma non capirono. I piccoli non comprendono le urgenze dei grandi ed iniziarono a singhiozzare. Per calmarli dovette compiere quello speciale gesto d’amore che ognuno di essi prediligeva. Con un filo d’erba fasciò strettamente la zampetta di Teo, diede a Ghiottino un seme saporito, a Gaia delle bacche di ribes rosso per giocherellare, cinse il capo di Berto con il trofeo vinto dal padre nel torneo estivo del Bosco ed infine lasciò che Chiarina affondasse nelle piume del suo petto. Si recò quindi dai suoi genitori; ma essi scossero tristemente il capo e dissero che erano troppo vecchi per attendere il ritorno di un altro figlio.

Piumetta sentì allora definitivamente svanire il suo sogno. La gioia, la luce che aveva pregustato si trasformarono in prostrazione profonda. Respirava a fatica. “Proprio ora” diceva tra sé, “proprio ora che avevo trovato il coraggio di andare”. Pensò con amarezza che non tutte le cose maturano insieme, che il tempo per affermare la sua libertà non fosse ancora giunto, né sapeva se mai sarebbe giunto. E pianse.

All’alba del giorno dopo Mirko passò a chiamarla. Piumetta dormiva, fece fatica a svegliarsi, poi, senza sollevare lo sguardo disse: “ Non vengo, perdonami, non posso venire”. Mirko intuì la sua pena. Era deluso ma non voleva ferirla. Disse soltanto: “Va bene partirò da solo” e scandì: “ma non per me solo”. “Cosa vuoi dire?” chiese l’amica. “Che sono un astricciolo. Che questo sarà il primo viaggio di un astricciolo verso il mare. Comprendi?”. Piumetta comprese. Comprese che quel viaggio era un richiamo della vita, che lei doveva farlo anche per i suoi piccoli, anche per i suoi vecchi. Guardò con intensità quei corpicini abbracciati nell’abbandono del sonno per imprimersi efficacemente nella memoria quell’immagine tanto cara. Poi partì verso l’ignoto.

Si sentiva in uno stato di grazia e le sembrava che la natura tutta vi partecipasse. I suoi sensi si erano accesi. Sorvolò il Boschetto e le parve per la prima volta di percepire la segreta armonia dei suoi mille suoni. Volgendo lo sguardo di qua e di là ebbe la sensazione che i colori sgorgassero vivi, creando accesi, inattesi contrasti. Con Mirko volarono tutto il giorno e proprio mentre stavano per posarsi su una quercia per ristorarsi e passarvi la notte udirono due colpi violenti. Piumetta affondò nella chioma dell’albero ma Mirko non sopraggiunse. Appena si riebbe dallo spavento iniziò a cercarlo. Lo trovò in mezzo all’erba alta, con un’ala ferita. “Non preoccuparti” le disse con una smorfia di dolore, “guarirò e potremo continuare il nostro viaggio”. Occorsero però quindici giorni prima che Mirko potesse ricominciare a volare. E Piumetta in quel mentre era diventata nervosa ed impaziente. Litigavano furiosamente e più volte pensò di abbandonarlo.

Poi provava però un rimorso profondo. Mirko era sempre stato lo specchio della sua anima, colui con il quale aveva condiviso gli spazi privati del cuore e certo, non era un caso, che anche ora fosse proprio lui il tramite per un viaggio che da sola non avrebbe forse mai intrapreso.

Guarita l’ala ripresero il volo e due giorni dopo giunsero sulle Montagne dell’Ultima Sosta. Con immensa emozione i due amici videro finalmente il mare. Lo contemplarono a lungo da lontano; poi si avvicinarono, sorvolando il corso del fiume che si snodava come un lungo serpente sinuoso, indugiando in anse profonde, prima di gettarvisi dentro. D’improvviso, però, una nube di fuoco tagliò l’aria e rovinò rapidamente a terra sfilacciandosi. Mirko e Piumetta sorpresi, discesero e si posarono sull’alto ramo di un eucalipto. Videro nella laguna sottostante migliaia di magnifici esemplari di uccelli con un bellissimo piumaggio rosa e lunghe zampe sottili. “Non ho mai visto uccelli così belli” esclamò meravigliato Mirko. “Sono fenicotteri” rispose una voce dal basso. Si sporsero per vedere chi avesse parlato. Piumetta restò impietrita. Sentì un fiotto di sangue avvamparle la testa, le zampe vacillare incerte, si sentì mancare il respiro. In quell’astricciolo scarno e spennacchiato e con un occhio semichiuso riconobbe Beccodoro, suo fratello. Quasi uno spettro, nessuna memoria dell’antico vigore.
Lo stupore per quella coincidenza fu grande. Si abbracciarono. “Ti credevamo morto nel Bosco dei Mille Suoni” disse in un soffio, Piumetta. Trascorsi quei primi, intensi istanti Beccodoro chiese con apprensione di Pennabruna e di Occhiallegri. Fu felice di saperli ancora vivi, ma fu una gioia breve. Udì del triste stato in cui versavano, di quelle due esistenze senza più colore, senza bussola, faticosamente trascinate da quando, dopo aver vanamente atteso il suo ritorno, lo avevano infine creduto morto.
La forte emozione sciolse le parole raggrumate nel petto. Lentamente raccontò le tante disavventure dal dì della rivolta contro i falchi, l’umiliazione della fuga, la vita solitaria, insicura, randagia e disordinata. E pianse, con ritmo costante e silenzioso, come se non avesse atteso altro, lungamente, che l’occasione di liberare il suo cuore dall’oppressione dei ricordi.

I due fratelli trascorsero la notte appollaiati l’uno sull’altro.
All’alba del giorno dopo si sentivano tutti animati da grande euforia. Beccodoro, fischiettando allegramente, andò a raccogliere alcuni semi e bacche speciali mentre Mirko e Piumetta si diressero verso il mare. Stormi di gabbiani salutavano festosi il mattino. Parve a Piumetta che i loro corpi in un istante si allineassero sull’acqua formando la parola “ECCOTI!”. Come spesso accade le piacque pensare che fosse uno speciale segno divino. Chiese a Mirko se esso se ne fosse accorto. Ma gli occhi di Mirko si erano ricolmati di altri doni … “La visibilità è nella mente di chi guarda”, essa pensò.
Inebriati da quella vertigine azzurra i due amici vissero “la loro giornata dei sogni”. Assaporarono ogni istante fino al tramonto. Poi tornarono da Beccodoro sull’eucalipto.
C’era un ospite a cena, una vecchia conoscenza, Bettina, ambita colomba che un tempo viveva nel Bosco dei Mille Suoni. Nel vederla lo sguardo di Piumetta non poté fare a meno di posarsi sulle zampe. Vide quelle due dita solitarie sulla zampa destra e rievocò una rissa d’amore di tanto tempo prima. Una zampetta monca era stato il prezzo pagato da Bettina. Ma il suo prezzo era stato molto più alto. Piumetta, nella contesa aveva perso. E il cielo le era crollato addosso. Adesso però che riappariva, Bettina non era più una rivale. Le sorrideva in quel modo confidenziale e disarmante di chi ritrova vecchi amici in terre lontane e quel sorriso, irrevocabilmente, tracciava un ponte verso il futuro.
Come in un lampo Piumetta ebbe l’esatta percezione che quelle pene d’amore, alla fin fine, erano state non solo feconde ma assolutamente indispensabili alla sua vita, necessità di buio profondo per accedere ad una luce più grande dell’esistenza. Si sentì riconciliata con tanta parte del suo passato. Salutò allegramente Bettina e trascorsero insieme una serata memorabile.

S. Turk- Piumetta
Il giorno dopo si prepararono per il ritorno. Piumetta intrecciò con il becco una piccola borsa; vi ripose dentro, con cura, due oggetti preziosi: una deliziosa conchiglia a spirale che sembrava racchiudere nella geometria delle forme e nelle delicate sfumature di colore tutta la perfezione della natura ed una piccola pietra magica che imprigionava di giorno la luce accecante del sole per restituirla iridiscente e verde di notte. In una foglia avvolse invece diverse varietà di bacche e semi di piante medicinali che aveva raccolto Beccodoro.
Partirono. Questa volta erano in tre. Affidandosi alla guida di Mirko e Piumetta, anche Beccodoro poté affrontare “il suo ritorno”.
Pochi giorni dopo erano a casa. Piumetta udì da lontano il cinguettare festoso dei piccoli che si preparavano ad accoglierla. “Mammina, mammina com’è il mare?” le chiedevano, sovrapponendosi, a gran voce. Le bastò un’occhiata per capire che erano ormai grandi, pronti per spiccare il volo. Con allegra commozione aprì le ali più che poté nell’intento di contenerli tutti in un unico abbraccio. Di colpo però i piccoli si chetarono. Piumetta si accorse che guardavano con stupore all’altezza del suo cuore. C’era un’immensa chiazza azzurra.
La guardò, poi sorrise e pensò con gratitudine alla segreta intelligenza di quella coincidenza, al potere misterioso di un desiderio ardente. “"Non siamo che i nostri desideri", disse tra sé. Li abbracciò, con l’inconfondibile tenerezza di una madre, con la solida certezza che in quel semplice gesto d’amore essi avrebbero trovato la risposta migliore.

"Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti | arrivederci fratello mare | mi porto un po' della tua ghiaia | un po' del tuo sale azzurro | un po' della tua infinità | e un pochino della tua luce | e della tua infelicità. | Ci hai saputo dir molte cose | sul tuo destino di mare | eccoci con un po' più di speranza | eccoci con un po' più di saggezza | e ce ne andiamo come siamo venuti | arrivederci fratello mare". - Nazim Hikmet -



Racconto scaturito dall'esperienza di una memorabile giornata con Piera Giacconi, arte terapeuta e formatrice di Udine e con il gruppo Stargate diretto da Donatella Ponterio, psicologa di Catanzaro.

Catanzaro, 26.03.2006.
P

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Foto di Federica Lombardo- Giardini di Sans Souci- Berlin

"In autunno raccolsi tutti i miei dolori e li seppellii nel mio giardino. E quando Aprile ritornò e il bel tempo si risposò con la terra, crebbero nel mio giardino fiori bellissimi, diversi da tutti gli altri".
K. Gibran

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